trio
Sotto pelle - 02


21.05.2025 |
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"«Vuoi che vada io?»
Irene scosse la testa..."
Viola era seduta sul pavimento del salone, davanti al suo archivio digitale. Il portatile aperto, il disco esterno collegato. Scorreva in silenzio le foto del giorno prima.Quando sentì i passi leggeri sul parquet, non alzò lo sguardo subito.
Irene entrò per prima. I capelli raccolti in modo più morbido del solito. La camminata era la stessa, precisa, controllata — eppure c’era una piccola differenza. Un rilassamento appena accennato nelle spalle. Come se qualcosa dentro si fosse sciolto.
Chiara la seguiva. Portava ancora la stessa camicia di lino del mattino, e negli occhi c’era una calma diversa. Non euforia. Qualcosa di più silenzioso.
Viola alzò finalmente lo sguardo.
«Avete dormito?» chiese, neutra.
Irene si sedette sul bordo del divano. «Un po’.»
Chiara si appoggiò allo schienale, vicino ma non troppo. «Sapevamo che prima o poi doveva succedere.»
Viola annuì. Poi tornò allo schermo. Ma solo per un momento.
Poi richiuse il portatile con lentezza.
«E adesso state meglio?.»
Irene sollevò appena un sopracciglio. «Perché?»
«Perché adesso sembrate diverse.»
Chiara sorrise piano, ma non rispose.
Viola si alzò in piedi. Camminò fino a loro, si fermò davanti al divano. Le guardò entrambe, senza giudizio. Solo con quella presenza che sapeva essere anche invadenza, se non si era pronti.
«Sono contenta per voi.» disse, semplice.
Irene sostenne lo sguardo. «Ne sei sicura?.»
Viola annuì di nuovo.
Silenzio.
Poi si voltò, senza aggiungere altro, e uscì dal salone.
Nella stanza di Viola ordine e caos convivevano: scaffali pieni di riviste vintage, scatole numerate, pellicole sigillate, custodie rigide, e una parete completamente occupata da stampe in bianco e nero, appese con mollette di metallo. C’erano corpi di donne in tutte le posizioni immaginabili — ma nessuna guardava davvero l’obiettivo. Guardavano altrove.
Accese la piccola lampada da tavolo vicino al muro delle foto. La luce calda lambiva i bordi delle immagini, tracciando curve, ombre, sorrisi appena accennati.
Si fermò davanti a uno scatto. Una donna seduta sul pavimento, solo in guanti e reggicalze. La testa piegata di lato.
Viola posò la fronte contro il muro.
Non era gelosia, quella che provava per Irene e Chiara. Era qualcosa di più ruvido. Una fitta di distanza. Un posto che pensava fosse ancora aperto, e che adesso — forse — si era chiuso.
Sapeva che sarebbe successo. Lo aveva previsto, persino desiderato. Ma ora che era accaduto, non le bastava più guardare.
Spense la luce.
Poi, senza vestirsi, si sdraiò sul letto, le braccia lungo i fianchi, gli occhi fissi al soffitto.
E per la prima volta, da mesi, non riuscì a immaginare una foto.
La sera la villa era silenziosa, ma non vuota.
In cucina, la luce era calda. Irene era seduta al tavolo, le gambe incrociate sotto la sedia, un bicchiere di vino tra le dita. Indossava una maglia leggera a maniche lunghe, color carbone, e pantaloni larghi in lino grigio scuro. Sembrava rilassata, ma solo in apparenza.
Chiara arrivò in silenzio, si versò un bicchiere d'acqua, poi si sedette accanto a lei. La camicia di lino era stata cambiata con una blusa sottile color rame, infilata in pantaloni neri morbidi, che lasciavano le caviglie scoperte. I capelli ancora umidi raccolti in una treccia lenta.
Poi Chiara disse piano:
«Pensi che se la sia presa a male?»
Irene non rispose subito. Fece ruotare il bicchiere tra le dita. «Non saprei. Ma in lei è cambiato qualcosa. Questo sì.»
Chiara abbassò lo sguardo. «Io... non pensavo sarebbe successo. Non così. Non oggi.»
«Nemmeno io.» Irene fece un mezzo sorriso. «Ma non mi pento.»
Chiara annuì. «Neanche io.»
Un altro silenzio, stavolta più denso.
«Tu la conosci meglio» disse Chiara. «Quando fa così... quando non parla... è perché sta cercando le parole giuste o perché ha già deciso che non parlerà?»
«Con Viola non si sa mai. Ma se decide di chiudere, lo fa col corpo, non con la voce.»
Irene sollevò lo sguardo verso la porta chiusa della camera in fondo al corridoio. «Ha lasciato la porta della camera appena socchiusa.»
Chiara si voltò anche lei verso il corridoio. «Vuoi che vada io?»
Irene scosse la testa. «No. Non ancora. Diamole tempo.»
Poi, quasi sottovoce, aggiunse:
«Ma non lasciamola sola troppo a lungo.»
Viola era in piedi, scalza, appena fuori dalla soglia della sua stanza. Indossava solo una t-shirt nera troppo larga per essere la sua, forse rubata a qualcuno anni prima, e un paio di slip semplici, neri. I capelli ancora sciolti, umidi di una doccia fatta in silenzio.
Aveva sentito il rumore dei bicchieri, le voci basse. Si era avvicinata in punta di piedi, senza pensare. E ora era lì. Immobile, appena al riparo dalla vista.
«Pensi che se la sia presa a male?»
La voce era quella di Chiara, morbida, esitante.
Viola non si mosse. Rimase li ad ascoltare.
Le parole di Irene arrivarono chiare, nitide, come uno scatto perfetto: luce giusta, soggetto nitido, nessun filtro. Eppure Viola non sapeva se provare sollievo o disagio. Non le piaceva essere “protetta”. Ma quelle parole… non avevano il sapore della pietà. Sembravano più una porta lasciata socchiusa.
Fece un passo indietro. Tornò verso la sua stanza, senza farsi notare.
Poi si stese sul letto, accese una piccola lampada, e prese un vecchio album fotografico. Non digitale. Uno con le stampe. Alcune anche rovinate.
Lo aprì a metà. Dentro c’era una foto mai mostrata a nessuno: due donne nude, una seduta, l’altra in piedi dietro di lei, le mani intrecciate, gli occhi chiusi. La luce arrivava da destra. Era una foto d’amore.
Viola la sfiorò con un dito.
La mattina dopo, la villa si svegliò in silenzio. Nessuna pioggia, solo luce chiara e piatta che entrava dalle grandi finestre. Un giorno qualunque, che non sembrava promettere niente.
In cucina, Irene era già al bancone. Il solito kimono nero, lo stesso di sempre, ma con la cintura legata più stretta del solito. Preparava il caffè con i gesti meccanici e ordinati di chi ha bisogno di fare qualcosa per non pensare troppo.
Chiara arrivò poco dopo, in pantaloni larghi color crema e un top di maglia nera senza maniche. I capelli sciolti, il viso ancora leggermente assonnato. Si scambiarono un bacio leggero, nessuna parola.
Poi arrivò Viola.
Indossava un completo semplice — jeans scuri a vita alta, una maglietta bianca infilata dentro. Ma era bellissima lo stesso, pur nel suo fisico androgino, nel suo modo crudo e diretto.
Entrò. Si fermò. Guardò entrambe. Poi parlò.
Chiara alzò lo sguardo. Irene si voltò lentamente.
«Sono qui. Se volete lasciarmi restare, bene. Ma non trattatemi come se fossi fragile.»
Silenzio. Quello vero. Quello che ascolta.
Poi Irene si avvicinò. Non fece grandi gesti. Le porse solo una tazza.
«Latte caldo. Un cucchiaino di miele. Come piace a te.»
Viola la prese, senza abbassare lo sguardo.
Chiara si avvicinò dall’altro lato. Posò la mano leggera sul fianco di Viola, solo un attimo.
«Non sei fragile. Ma nemmeno da sola.»
Viola annuì. Poi si sedette.
Era pomeriggio, e la villa sembrava più silenziosa del solito.
Irene era uscita per un sopralluogo con un cliente. Chiara era rimasta, il libro a metà sul divano, il pensiero altrove. Si alzò, con l’istinto di voler capire.
Bussò alla porta di Viola.
«Posso?» chiese, già con la mano sulla maniglia.
«Entra» disse Viola, seduta sul pavimento, circondata da stampe, fogli, provini a contatto.
Chiara entrò. Si chinò a osservare le foto sparse sul pavimento.
«Questo è il famoso archivio privato?» chiese, senza ironia.
Viola fece un cenno. «Una parte.»
«Posso toccare?»
Chiara sorrise appena. Si inginocchiò accanto a lei, prese un’immagine tra le dita.
Due mani intrecciate, una pelle chiara, una scura. Un riflesso di luce su un anello.
«Chi erano?» chiese.
Viola non rispose subito. «Due donne che si erano appena viste dentro.»
Chiara posò la foto sul pavimento. Poi prese un'altra. In quella, un corpo femminile visto dall’alto, steso sul letto, il lenzuolo che lasciava scoperta solo una spalla e metà schiena. Nulla di esplicito, eppure erotico come un respiro a pochi centimetri dal collo.
Viola si avvicinò per sistemare un’altra stampa. Le loro braccia si sfiorarono. Il contatto fu breve, ma Chiara non si spostò.
«Tu… fai mai vedere queste foto mentre scatti?» chiese, a bassa voce.
«No.»
«E se fossi io a chiederlo?»
Viola si voltò. Per la prima volta, da vicino.
I loro visi erano a pochi centimetri. Non c’era urgenza, non c’era strategia.
«Dipende cosa vuoi vedere.»
Chiara allungò una mano e le sfiorò la guancia, leggera. Il pollice tracciò una linea fino all’angolo della bocca.
«Vorrei vederti smettere di guardare, per una volta.»
Viola restò immobile. Poi, piano, posò la mano sul fianco di Chiara, sopra la camicia, senza premere. Solo presenza.
Il bacio non arrivò. Non ancora. Ma l’aria tra loro aveva già cambiato densità.
Il silenzio nella stanza era spesso come il velluto. Nessuna musica, nessun rumore di fondo. Solo i loro respiri, rallentati.
Viola la guardava, dritto negli occhi. Senza le sue solite difese. Nessuna ironia, nessuna posa.
«Non sono abituata a farmi guardare così» disse piano.
Chiara le accarezzò il viso, il pollice che sfiorava lo zigomo. «Nemmeno io. Ma con te… non mi viene da fingere.»
Viola lasciò cadere la stampa che teneva in mano. Il foglio scivolò sul pavimento con un fruscio secco.
Chiara si avvicinò di pochi centimetri. Ora i loro nasi quasi si toccavano.
«Se mi baci» disse Viola, «non sarà un gioco.»
Chiara sorrise appena. «Non sto giocando.»
Poi, finalmente, le loro labbra si toccarono.
Un bacio lento. Vero. Non cercava il piacere, cercava il punto in cui due respiri si incontrano. Le mani si appoggiarono sui fianchi, sulle scapole, senza stringere. Solo per sentirsi. Le lingue si sfiorarono appena. Poi si ritirarono.
Quando si separarono, rimasero così. Occhi negli occhi.
«Irene lo sa già» disse Chiara, con dolcezza.
Viola non sembrò sorpresa. «Non mi stupisce.»
«Ti va di… provare a non restare fuori?»
Viola abbassò lo sguardo, solo un attimo. Poi tornò su.
«Solo se tutto questo non è per pietà.»
Chiara annuì. «Non lo è.»
E stavolta, fu Viola a baciarla. Più sicura. Più dentro.
Il club si chiamava Kairo, ed era nascosto dietro un’insegna al neon in una traversa a sud della città. Nessuna vetrina. Solo un portone di legno massiccio, e una luce rossa fissa sopra l’ingresso. Dentro, pareti scure, musica lenta, e corpi che parlavano tra voci sussurrate.
Era uno di quei luoghi dove l’abito è linguaggio, e ogni gesto può essere un invito o un confine.
Irene era entrata per prima. Indossava una jumpsuit nera in vinile opaco, aderente ma sobria, con zip invisibile lungo il fianco e stivaletti con tacco basso. I capelli tirati indietro, un trucco appena accennato. Elegante, inaccessibile. Ma con gli occhi accesi.
Chiara la seguiva a distanza controllata. Corsetto in raso bordeaux, gonna a tubo in pelle nera lucida, stivali alti fino al ginocchio con zip laterali. Al collo, un collare di velluto con un piccolo anello d’argento. Era la più femminile, ma non la più fragile.
Viola chiuse la fila. Body in latex nero con maniche lunghe, aperto sulla schiena, e leggins in pelle morbida, infilati in stivali con tacco sottile e laccature laterali. Occhi truccati di grigio. Silenziosa. Ma magnetica.
Si mossero come tre linee parallele che ogni tanto si sfiorano.
Al bar, ordinarono senza consultarsi. Un cocktail per Irene. Vino scuro per Chiara. Whisky liscio per Viola.
Si sedettero su un divanetto. Di fronte a loro, un tavolo basso ai margini della sala centrale, da cui si vedeva la sala, i corridoi semibui. Nessuna parlava. Ma non era silenzio d’imbarazzo. Era qualcosa che stava crescendo sotto la superficie.
A un certo punto, una donna bionda si avvicinò. Alta, vestita in latex color carne e bustier dorato. Guardò Irene. Poi Chiara. Poi Viola.
«Siete bellissime. Posso offrirvi qualcosa?»
Viola rispose per tutte. Senza durezza, ma con precisione.
«Accettiamo. Ma ci muoviamo insieme.»
Le quattro si avvicinano al bar.
bevono qualcosa insieme. I loro sguardi si incrociano.
Troppo spesso.
In quei locali spesso si fanno incontri, o si rimane per osservare.
La donna sorrise. Lieve. Riconoscente.
Fanno due chiacchiere, si presentano.
La donna si chiama Elise.
Un nome francese, ma italiana di sangue.
Poi si diressero verso una delle stanze laterali. Luci basse, pareti rivestite in velluto nero, un letto basso e largo al centro, tappeti scuri, cuscini sparsi. Nessuna gabbia, nessuna croce. Solo intimità costruita per accogliere il piacere con grazia.
Irene entrò per prima, elegante, contenuta. Chiara la seguì, poi Viola. Elise si tolse lentamente i guanti, come un gesto rituale. Non si avvicinò subito. Attese. Era un corpo offerto, non invasivo.
Chiara prese l’iniziativa. Si avvicinò a Elise, le toccò una spalla scoperta con le dita.
Irene rimase in piedi accanto al letto, ma i suoi occhi erano su Viola, che si era seduta e stava osservando la scena con attenzione. La tensione era palese: non gelosia, ma attenzione viva.
Elise si lasciò sfiorare, poi si girò verso Irene, e si fermò.
Irene si avvicinò. La sfiorò con le dita sul bustier, salendo lentamente fino al collo. Poi si voltò verso Viola come a invitarla tra loro.
Viola si alzò. Non disse nulla. Ma si avvicinò a Elise da dietro, e con la bocca le sfiorò la spalla opposta.
Irene e Chiara si guardarono. Nessuna esitazione. Nessuna distanza.
E così, mentre Elise si sdraiava con un gesto morbido al centro del letto, le tre donne si mossero come onde attorno a lei, senza perdere il contatto tra loro.
Le mani si incrociavano, le labbra si scambiavano la pelle. I baci non erano distribuiti: erano offerti e ripresi, continuamente. Ogni tocco era condiviso. Ogni sguardo, consapevole.
E quando Elise gemette piano sotto la lingua di Viola, fu Chiara ad accarezzare i capelli di Viola, e Irene a baciare le labbra di Chiara.
Elise si lasciava fare. Respirava più forte. Il suo corpo iniziava a parlare.
Irene le stava dietro. Le abbassò con calma la zip dalle spalle, aprendola fino ai fianchi. Ogni centimetro di pelle che si scopriva era accolto da una carezza. Le mani salivano, poi scendevano. Nessuna fretta. Nessuna pretesa. Elise rimase nuda.
Chiara si inginocchiò sul letto, tirando Elise verso di sé. La fece sedere sopra le sue gambe, la tenne stretta con una mano alla schiena, l’altra sulla coscia. I loro corpi si toccavano appena, ma abbastanza da far vibrare l’aria tra di loro. Poi tornò a baciarla. Questa volta sulle labbra. Più a lungo. Più profondamente.
Irene si abbassò, si sedette sul letto di fronte a loro. Elise le stese una gamba sopra il fianco. La tuta di Irene rifletteva appena la luce. Le mani si muovevano ora sulle cosce della sconosciuta, aprendole leggermente. Le dita sfioravano l’interno, passavano vicino al sesso di Elise senza toccarlo. Ma bastava per farla fremere.
«È bellissima» sussurrò Chiara, guardando Irene.
Irene annuì. poi sussurrò a Elise
«Adesso lasciati andare.»
Poi guardò Viola. Un segno appena del mento. Nessuna parola. Un invito pieno.
Viola si avvicinò.
Si inginocchiò ai piedi del letto. Appoggiò le mani sui fianchi di Elise e la tirò lentamente verso di sé, fino a stenderla sul bordo del materasso. Le cosce aperte, la pelle calda e pronta.
Viola le baciò l’interno della coscia destra, poi quello della sinistra. La lingua tracciò linee lente, indecise, attorno al sesso di Elise, senza toccarlo subito. Solo respiro. Solo vicinanza. Poi, quando Elise gemette appena, entrò.
La lingua affondò con precisione, sicura. La punta esplorava, le labbra si chiudevano intorno al clitoride in un ritmo lento, pressante. Viola non chiedeva, prendeva.
Ma con un rispetto assoluto.
Chiara si abbassò sul busto di Elise. Le mani le sorreggevano i seni, la bocca si chiuse su uno dei capezzoli, lo succhiò lentamente, mentre con la lingua lo disegnava. Alternava baci e piccoli morsi. Elise si inarcava.
Irene era sopra di lei, le labbra sulla sua bocca. Le baciava piano, poi più a fondo, poi si staccava. Le mani le accarezzavano i capelli, le guance, il collo. «Così… sì… lascia andare tutto…»
Elise gemeva più forte. A occhi chiusi. Le mani si muovevano a vuoto, cercando aria o pelle. Il bacino si muoveva appena contro la bocca di Viola, senza mai forzare. Solo guidato da un piacere che saliva lento, ma pieno, sempre più evidente.
Viola non si fermava. Ogni tanto rallentava, poi tornava a premere. Con la lingua, con il respiro, con la bocca. Le dita si erano strette ai fianchi di Elise. Non la tenevano. La seguivano.
«Sì… lì… lì…» sussurrava Elise, quasi senza fiato.
E quando il corpo iniziò a vibrare davvero, fu Chiara a stringerle una mano e Irene a sussurrarle parole nell’orecchio.
E Viola, con la bocca ancora bagnata di lei, la fece venire.
Un orgasmo lungo, pieno, quasi rotto da un singhiozzo. Elise gemeva senza pudore, la gola aperta, le gambe tese, il ventre che si contraeva a ogni pulsazione.
Viola non si mosse. La baciò più piano. La leccò ancora. Fino all’ultimo tremito.
Tutto si è spostato. Viola è entrata davvero. Ha dato piacere. È stata accolta. Ma ora è il momento di chiudere il cerchio.
Il corpo di Elise era ancora teso, ma rilassato. Gli occhi chiusi, le dita che cercavano qualcosa nell’aria. Lentamente, Chiara si sdraiò accanto a lei, le accarezzò l’interno del braccio, lasciando che il respiro tornasse. Irene si chinò a baciarle la fronte. Viola, in silenzio, si era già allontanata dal letto, rimettendosi in ginocchio sul pavimento.
Non sembrava volersene andare. Ma non chiedeva nulla.
Fu Chiara a guardarla per prima.
«Resta.»
Poi Irene, con voce ferma:
«Tocca a te.»
Viola non rispose. Ma si alzò.
Elise si voltò lentamente verso di lei. Aveva gli occhi lucidi, la bocca appena aperta. Sollevò una mano e la poggiò sul ventre di Viola, sopra il body in latex.
«Voglio restituirti qualcosa.»
Viola scivolò fuori dal body con lentezza, senza esibizione. Si mostrò per quella che era: tutta intera. Il seno nudo, il ventre piatto, e il suo sesso eretto, teso ma naturale. Non c’era niente da spiegare. Solo presenza piena.
Chiara la prese per mano e la fece sedere sul bordo del letto. Le tolse i guanti, le baciò i polsi, poi i palmi.
Irene si inginocchiò davanti a lei, ma non ancora per toccarla. Solo per guardarla. «Non ti nascondere mai più» disse.
Viola sorrise appena. Nessuna frase. Ma una resa silenziosa.
Viola era seduta sul bordo del letto, le gambe divaricate appena, il corpo nudo, esposto senza esitazione. Il suo respiro era più profondo, ma regolare. Non c’era vergogna. Solo attesa. E fiducia.
Chiara fu la prima ad avvicinarsi. Si inginocchiò davanti a lei, tra le gambe. Le mani salirono lungo le cosce di Viola, lente, precise. La guardava dal basso, ma non in posizione di sottomissione. Era un atto di volontà pura.
Viola la guardò per un momento. Poi Chiara si sporse in avanti e la baciò. Un bacio pieno, lento, umido. Le bocche si cercavano, si aprivano, si riconoscevano. La lingua di Chiara entrò con decisione ma senza fretta, trovando ritmo e profondità. Viola le prese il viso tra le mani, lo tenne lì. Il bacio si allungò. Si interruppe solo per un respiro.
Poi Irene si avvicinò da dietro. Nuda anche lei, si abbassò sulle ginocchia dietro Viola, circondandole il busto con le braccia. Le baciò il collo, poi una spalla, poi scese più in basso, sfiorandole i capezzoli con la lingua, con la bocca, con piccoli morsi delicati.
Viola gemette. Un suono basso, dalla gola. Il suo corpo si apriva.
Chiara ora la baciava sul petto, tra i seni, sul ventre. Scendeva piano. Ogni centimetro di pelle era un’occasione per restare, per ascoltare. Le mani restavano sulle cosce, le accarezzavano in cerchi lenti.
Elise si era spostata sul lato, e guardava in silenzio. La sua mano si muoveva lentamente tra le gambe, senza fretta. Non c’era voyeurismo: c’era comunione.
Irene passò una mano sul seno di Viola, poi la chinò leggermente indietro, sorreggendole il capo con l’altra. Le sussurrò all’orecchio:
«Lasciati fare. Adesso tocca a noi.»
Viola si lasciò andare contro di lei. Il collo esposto, il ventre teso, il sesso eretto e vivo al centro di tutto.
Chiara era lì. Pronta.
Viola era distesa ora al centro del letto, le gambe piegate leggermente, il busto rilassato ma teso di desiderio. Il suo sesso eretto brillava alla luce rossa della stanza, pulsante, vivo, invitante come una domanda a cui finalmente si vuole rispondere.
Chiara era inginocchiata tra le sue gambe. Le mani sui fianchi, il volto abbassato. Aprì leggermente le labbra e vi fece scivolare la punta della lingua. Prima lenta, poi più decisa. Lo accarezzò tutto, dalla base al glande, con un rispetto assoluto e una fame che sapeva trattenere.
Viola reclinò la testa all’indietro, ma non emise suono. Solo un respiro spezzato.
Elise si stese accanto a lei, il corpo ancora sensibile, ma attivo. Le prese una mano e gliela tenne sopra il cuore. Poi le si chinò addosso, e la baciò sul collo, poi sulla mandibola, poi sulla bocca. Il bacio era più selvatico, più disordinato, ma sincero. Lingua e labbra si cercavano, si inseguivano, si fondevano.
Irene, intanto, era dietro. Si era infilata in punta di piedi tra le due donne sul letto, le ginocchia piegate ai lati del bacino di Viola. Le mani le accarezzarono i fianchi, poi scesero, e una la guidò dentro lentamente con due dita, scivolando senza forzare.
La penetrazione fu piena, intenzionale, ma non violenta. Il polso fermo, il ritmo subito calibrato su di lei.
Viola ansimò. Le gambe si aprirono di più. Il ventre si contraeva, il petto si alzava. Non c’era resistenza. Si stava lasciando andare del tutto.
Chiara ora aveva il sesso di Viola in bocca. Non lo ingoiava tutto, lo lavorava a tratti, lo baciava, lo leccava, lo succhiava alternando ritmo e profondità. Ogni tanto si fermava a guardarlo, bagnato e bello, poi tornava giù.
Elise la baciava con la lingua, stringendole le dita. Irene dentro di lei, lenta ma decisa, con il palmo umido contro il pube, a premere ogni volta che le dita affondavano.
Viola tremava. I fianchi si muovevano piano, ma seguivano un bisogno che saliva.
La stanza era silenziosa, ma il piacere era ovunque.
Le dita di Irene continuavano a entrare e uscire con ritmo costante. Due, forse tre ora, piene ma attente, ogni spinta accompagnata da una pressione lieve con il palmo contro il clitoride.
Viola apriva le cosce di più. Le mani si erano aggrappate alle lenzuola. Ogni tanto, stringeva, come se volesse tenersi attaccata al letto.
Il cazzo era ancora nella bocca di Chiara. Ogni tanto lo lasciava scivolare via, si fermava a guardarlo pulsare, e sussurrava parole che nessuna capiva, ma che Viola sembrava sentire in tutto il corpo.
«Così… sì… continua…» mormorava Viola.
La voce più roca, profonda. Un filo di fiato spezzato dal piacere.
Elise la baciava ancora. A volte le labbra, a volte la gola, a volte la bocca. Le prendeva il viso tra le mani, le accarezzava le guance, le passava le dita sulle tempie.
«È bello vederti così… lasciarti… tremare…» sussurrava piano, tra un bacio e l’altro.
Viola gemeva. Prima a tratti, poi sempre più spesso.
Gemiti bassi, trattenuti all’inizio, poi più aperti, che le scuotevano il ventre, il torace.
Ogni volta che Irene affondava più a fondo, o che Chiara risucchiava con più forza, il respiro si spezzava.
La pelle di Viola brillava di sudore. Ogni muscolo teso. Il bacino che cercava il tempo giusto. La bocca che non sapeva se aprirsi o mordere il labbro.
Poi, un sussurro, quasi un grido fatto di niente.
«Ci sono… ci sto arrivando… non fermatevi…»
E tutte e tre si mossero insieme, in un istinto perfetto, come se sentissero lo stesso impulso.
Il momento era lì. A un soffio. Sotto pelle.
Un secondo ancora. Una spinta in più. Un colpo di lingua.
Il corpo di Viola pronto a esplodere, ma ancora tutto trattenuto.
Chiara lo sentì.
Il sesso di Viola era duro e sensibile, e ogni volta che lo prendeva in bocca, lo succhiava più a fondo, lo accoglieva con la gola, e poi risaliva con la lingua che girava appena sotto il glande, veloce e attenta.
Viola aprì la bocca. Ma non parlò. Un gemito lungo, profondo, le uscì dal petto, non dalla gola.
Un suono che tremava. Come un’anima che si piega.
Elise la baciava, la stringeva contro il suo corpo. Una mano le accarezzava i capelli, l’altra le teneva il viso.
«Vieni per noi… vieni adesso, amore… non trattenere niente…»
Le sussurrava piano, con il fiato caldo sull’orecchio, con la bocca che tremava anche lei.
E fu lì.
Il corpo di Viola si irrigidì. Le gambe si piegarono. Il sesso pulsò dentro la bocca di Chiara.
Un grido secco, rotto e bellissimo, le uscì dalle labbra.
La schiena si inarcò. Le mani strinsero forte. Le dita di Irene affondarono ancora, e ancora.
Chiara lo succhiava fino in fondo. Fino alla fine.
Elise la teneva. Non la lasciava andare via.
L’orgasmo fu pieno. Lungo. Scuro. Luminoso. Immenso.
Lo sperma uscì tra le labbra di Chiara, caldo. Lei lo prese tutto. Non si fermò finché Viola non si sciolse del tutto tra di loro.
Poi, solo respiro.
Un tremore nelle cosce. Un singhiozzo che non era pianto. Un suono da dentro.
Irene si chinò. Le baciò la pancia, le dita ancora dentro.
Chiara le accarezzò le cosce con la guancia.
Elise le prese il viso e le sussurrò:
«Adesso ci sei. Sei qui con noi.»
Viola non parlò. Ma chiuse gli occhi, prese fiato, e lasciò uscire un sorriso che non aveva mai avuto prima.
Il letto sembrava più grande adesso. O forse erano loro a occuparlo meglio.
Quattro corpi nudi, intrecciati senza ordine, ma senza disordine.
Viola era al centro. Il respiro ancora profondo, ma più lento. Le gambe distese, una mano ancora nella mano di Elise. L’altra appoggiata sul ventre, come a tenersi dentro qualcosa che non voleva lasciar andare.
Chiara era accanto a lei, la testa appoggiata sulla sua coscia sinistra, gli occhi chiusi, le dita che tracciavano cerchi lenti sulla pelle. Il viso era sereno. Quasi bambino.
Irene era distesa sul fianco, dietro Viola, il petto che sfiorava la sua schiena, le braccia attorno alla vita. Le labbra poggiate sulla nuca, un bacio senza suono, ma eterno.
Elise era all’altro lato, il corpo avvolto attorno al fianco opposto. Guardava Viola, ma senza aspettative. Solo con la gratitudine di chi è stata accolta e ha saputo restituire.
Nessuna parlava. Nessuna aveva bisogno di farlo.
Poi fu Irene, con un sussurro.
«Hai tremato. Era bellissimo.»
Viola rispose piano, senza aprire gli occhi.
«Non ero mai stata così… leggera.»
Chiara sollevò lo sguardo. «E noi non ti abbiamo mai avuta così.»
Elise sorrise. E sussurrò, senza cercare un posto fisso nel loro mondo:
«Grazie per avermi lasciato entrare.»
Viola aprì gli occhi. Le guardò una a una. Poi disse, lentamente:
«Stasera ho capito che posso ricevere amore. Non solo darlo.»
E allora il silenzio diventò pieno.
Solo pelle contro pelle.
Respiro su respiro.
E quel momento in cui nessuna ha più bisogno di difendersi.
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